Selvaggi e Folli nelle tradizioni europee/Il ceppo mitico del Selvaggio europeo/Selvaggi e Folli nel Medievo/ |
Il
ceppo mitico del Selvaggio europeo |
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Selvaggi
e Folli nel Medioevo Galleria iconografica |
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Bibliografia |
Il ceppo mitico della figura del Selvaggio Il Selvaggio
è, in tutte le sue articolazioni, la figura centrale di una serie
di credenze e di rituali che permeano l’Europa durante tutto il
medioevo. Secondo una radicata letteratura scientifica il ceppo mitico attraverso cui tale figura dallo statuto semidivino ci è giunta e si è perpetuata nel Medioevo è rintracciabile attraverso una serie di narrazioni fantastiche (mirabilia) e di documenti iconografici. Gli eserciti dei morti Alla fine
del XII secolo, nel suo De Nugis Curialium “Le facezie
dei cortigiani”, Walter Map, chierico gallese alla corte di Enrico
II il Plantageneto, scrive di diffuse narrazioni popolari che si riferiscono
a ripetute apparizioni di spettrali cavalieri erranti, fra i quali persone
sicuramente già defunte.
Ma è a metà del XII secolo che compare una delle più antiche testimonianze sulle credenze popolari intorno alla figura di Hellequin. Nella sua Storia Ecclesiastica Oderico Vitale racconta dell’apparizione al giovane prete Walchelin di un immenso esercito durante la notte del primo gennaio 1091. Alla testa del corteo vi era un gigante armato di un randello che gli intimò di fermarsi e di assistere alla sfilata dell’exercitus. Un primo gruppo era costituito da “un immensa truppa di fanti” , a seguire una schiera di sterratori che portavano a due a due una serie di barelle cariche di nani dalla testa enorme oppure a forma di vaso. Fra gli altri veniva poi un gran numero di donne a cavallo che subivano atroci torture per essere state delle peccatrici. Il secondo gruppo dell’esercito era costituito da “un esercito di preti e monaci”. Ma l’ondata successiva era la più terrificante :“l’esercito dei cavalieri” (Exercitus militum) vomitava fuoco e si presentava come un insieme tutto nero. Uomini in possesso di qualsiasi tipo di armi ed in sella a cavalli enormi sembrava si avviassero alla guerra. Dopo aver visto parecchie migliaia di cavalieri Walchelin si rese conto che si trattava della Familia Herlechini (Schmitt, 1988, pp.129-130). Nel
quadro più ampio delle tradizioni europee ritroviamo figure di
varia denominazione che già secondo Alessandro Wesselofsky (fine
del XIX secolo) riconducono questi personaggi ad un unico ceppo mitico
ossia quello della WildeJagd o Caccia selvaggia. La credenza nell’ esercito dei morti capeggiato da mitici re e costituito dai suoi valorosi guerrieri è il segno della consolidata religio popolare che riteneva vi fossero momenti e luoghi di una reale contiguità tra il mondo dei vivi e quello degli antenati, ma nel racconto di Oderico Vitale si palesano i segni di una cristianizzazione dei morti poiché questi ultimi appaiono come anime in pena che chiedono al testimone di intercedere per riscattare i loro peccati ed interrompere così la loro erranza espiatoria.
Ma sul finire del XII secolo venne il tempo in cui il mondo dei viventi divenne rigidamente separato da quello dei morti. La definitiva sistemazione del Purgatorio, come luogo posto in un aldilà che non può contemplare contatti con gli uomini sulla terra, stabilì che gli spiriti incontrati non potevano essere altro che anime dannate, esseri diabolici e tentatori. Figure fino a quel momento temute e mitizzate subiranno dunque una vera demonizzazione che però la cultura popolare recupererà, comunque, in quanto irrinunciabili garanti dei collegamenti con il regno dei morti ossia degli antenati intesi come parte delle forze che muovono e rigenerano la natura.
Il Selvaggio
non è solo una figura che appartiene alla cultura dei pauperes
e degli aratores, poiché non è affatto raro ritrovarlo
raffigurato negli stemmi araldici a far segno di presunte origini mitiche
di alcune genealogie aristocratiche. Gli eserciti dei morti si inselvatiscono Con la demonizzazione dell’esercito dei revenant, gli spettri perdono in parte le caratteristiche cavalleresche e guerriere per ibridarsi, come testimoniato da una significativa iconografia, con altre figure di antica ascendenza mitica, abitatrici anch’esse delle selve e dei boschi. Fauno e Silvano Arcaiche
divinità romane presiedono alle zone di confine e per attributi
e fenomenologia possono essere avvicinati al Selvaggio, si tratta di Fauno
e di Silvano.
Ma quando una volta all’anno il mondo regolato e il mondo selvaggio entravano in contatto, Fauno era dappertutto e si stabiliva un vincolo inquietante fra due due mondi, quello dei vivi e quello dei morti: fine dell’inverno e approssimarsi della primavera e del nuovo anno (Dumézil, 1977). Fauno e Silvano sono anch’esse figure che vivono e presiedono le zone di confine e possono diventare il trait d’union tra gli uomini e la natura, ma anche tra i vivi e i morti proprio come il Selvaggio medievale.
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Pan |
L’aspetto
fisico di Fauno, dio terrestre dalle origini antichissime, viene ripreso
da quello del dio greco Pan in quanto i romani non erano soliti rappresentare
l’immagine degli dei attraverso pitture o sculture. Si tratta
di un essere zooantropomorfo dalle zampe e dai piedi caprini, dal corpo
villoso e dalla testa antropomorfa ma cornuta. Pan è il dio dei
pastori e delle greggi e sembra provenire originariamente dall’Arcadia.
Possiede una formidabile agilità che gli permette di percorrere
velocemente i territori scoscesi delle montagne e di assolvere così
alla funzione di sentinella delle greggi. Dotato di una energia sessuale
inesauribile è sempre impegnato a cercare di sedurre le ninfe
con le quali ne condivide i luoghi quotidiani del ristoro e del riposo:
sorgenti e grotte. I cacciatori, pur rivolgendosi principalmente ad
Artemide, offrono anche a lui i doni votivi per la propiziazione di
tale attività. Ma anche la funzione guerriera viene svolta dal
dio dei pastori. In grado di infondere un terrore totalizzante presso
i nemici, il timor panico per l’appunto, induce gli uomini a comportamenti
folli. Il panico, che i greci associavano alle attività militari,
andava di pari passo con l’immaginare le peggiori congetture.
Tale illusione poteva portare alla disgregazione degli eserciti. Ecco
cosa avvenne ai galli dopo la sconfitta a Delfi: “All’inizio
alcuni persero la testa: credevano di sentire il rumore dei cavalli
lanciati contro di loro, o il nemico che correva all’assalto.
Presero le armi, si divisero in due gruppi e combatterono gli uni contro
gli altri, non più in grado nè di capire la loro lingua,
né di riconoscersi dagli elmi o dai volti…La pazzia inviata
dal dio fece in modo che i galli si sterminassero con le proprie mani”
(Pausania, X, 23, 6-8; Bonnefoy, 1989).
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